Intolleranze alimentari e diete di esclusione

Negli ultimi anni l’incidenza delle allergie in Italia, così come nel mondo occidentale, è aumentata notevolmente, non solo nella popolazione pediatrica, ma anche in quella adulta e persino anziana.

Di pari passo, hanno trovato ampia diffusione anche quelle che comunemente vengono definite “intolleranze” o “allergie alimentari”: sempre più persone affermano infatti di presentare una di queste due condizioni, spesso confondendole. In realtà, la letteratura scientifica non solo ridimensiona notevolmente questo fenomeno, ma fa anche chiarezza distinguendo nettamente le allergie dalle intolleranze alimentari. Facciamo un po’ di chiarezza.

Le intolleranze alimentari non sono allergie

Le “reazioni avverse al cibo”

Le parole “intolleranza” ed “allergia” sono ampiamente diffuse e sono spesso utilizzate come sinonimi nella vita di tutti i giorni.

Allergie ed intolleranze sono però due condizioni nettamente distinte tra loro e sono comprese nel più vasto gruppo di disturbi legati all’ingestione di alimenti, che ancora non ha trovato una definizione riconosciuta universalmente.

Negli ultimi anni, tuttavia, una delle classificazioni più diffuse è quella che definisce questi disturbi come “reazioni avverse al cibo”.

Queste ultime, a loro volta, possono distinguersi in reazioni tossiche (o da avvelenamento, dovute alla presenza di tossine negli alimenti) e reazioni non tossiche, di cui fanno parte proprio le allergie e le intolleranze alimentari.

Cosa si intende per allergia alimentare…

Per allergia alimentare si intende una reazione a seguito dell’ingestione di un determinato alimento; si tratta di una risposta del sistema immunitario specifica, che si manifesta ogni qual volta si viene esposti a quel particolare alimento (che proprio per questo prende il nome di allergene), a prescindere dalla sua quantità.

Reazioni di questo tipo possono essere sia immediate che ritardate e possono esprimersi con un vasto panorama sintomatologico a carico di organi ed apparati differenti: molto diffusi sono sintomi come orticaria, disturbi intestinali, gonfiore della lingua e della gola fino alla più grave manifestazione dello shock anafilattico.

Generalmente le allergie alimentari sono più comuni nell’età pediatrica rispetto a quella adulta e possono svilupparsi nei confronti di comuni alimenti, come:

  • latte vaccino,
  • uova,
  • arachidi,
  • frutta a guscio,
  • soia,
  • crostacei e molluschi,
  • pesce,
  • cereali.

… E per intolleranza

Le intolleranze alimentari sono più comuni delle allergie e sono delle reazioni avverse che si manifestano in seguito all’ingestione di alimenti, non sono tossiche né immuno-mediate e, al contrario delle reazioni allergiche, la loro manifestazione dipende molto spesso dalla quantità di alimento assunta.  

Le intolleranze alimentari possono essere indotte da:

  • deficit enzimatici, che determinano l’incapacità, per difetti congeniti, di metabolizzare alcune sostanze assunte con l’alimentazione (es. carenza della lattasi, l’enzima presente nei villi intestinali e responsabile della degradazione del lattosio);
  • componenti alimentari “attivi” nell’organismo (come la caffeina o la tiramina);
  • condizioni indefinite (come la presenza di alcuni additivi).

Gli ultimi due tipi citati sono però di diagnosi difficile e controversa e, poiché possono attivare il sistema immunitario, sono talvolta definiti anche come reazioni pseudo-allergiche.

Quanti tipi di intolleranze esistono?

L’incidenza delle intolleranze alimentari è in aumento e molto probabilmente lo sarà sempre più, a causa del modello di alimentazione attuale, che molto spesso affatica il nostro intestino.

Ma si può parlare sempre di intolleranza?

A volte pensiamo di essere diventati “intolleranti” nei confronti di un alimento o di una classe alimentare, perché avvertiamo dei disturbi dopo aver mangiato.

Ciò che succede invece è che l’assunzione di alcuni alimenti sia in termini di quantità che di frequenza di ingestione è spesso responsabile, insieme a tutta una serie di altri fattori, di una reazione infiammatoria dell’organismo e dell’intestino in particolare, che genera malessere.

L’approccio scientifico moderno è quindi sempre più orientato verso il riconoscimento di uno stato infiammatorio intestinale, determinato da abitudini alimentari scorrette.

È perciò importante distinguere questi stati infiammatori intestinali, di cui è responsabile l’alimentazione, dalle intolleranze alimentari vere e proprie, ampiamente descritte e riconosciute in ambito medico e che rispondono puntualmente alla definizione riportata sopra.

Le intolleranze alimentari ad oggi riconosciute dal mondo scientifico e diagnosticabili sono infatti soltanto tre:

  1. l’intolleranza al lattosio, zucchero composto dalle due unità zuccherine più semplici, galattosio e glucosio, presente nel latte e nei suoi derivati;
  2. l’intolleranza al glutine (aggregato proteico presente nei cereali), che approfondiremo più avanti;
  3. l’intolleranza all’istamina, meno conosciuta e le cui manifestazioni sono riconducibili al gruppo delle pseudo-allergie. L’istamina, contenuta in alimenti come pesce, formaggio o vino, non viene metabolizzata per carenza di un enzima presente a livello dei villi intestinali (piccole strutture del nostro intestino responsabili della digestione enzimatica degli alimenti e dell’assorbimento dei nutrienti) e provoca per questo disturbi di vario tipo, come mal di testa, prurito, eruzioni cutanee, nausea e così via.

Intolleranza al lattosio

Questo tipo di intolleranza si manifesta a causa della carenza dell’enzima lattasi, presente nei villi intestinali.

L’enzima lattasi in condizioni normali favorisce la digestione del lattosio, zucchero contenuto in latte e derivati, scomponendolo nelle sue due unità zuccherine di base, il galattosio ed il glucosio (che possono essere così assorbiti dalla mucosa intestinale).

Alla nascita, il nostro organismo presenta generalmente lattasi in buone quantità. Mano a mano che avanza il tempo, le lattasi possono però diminuire ed a causa di ciò l’organismo perde via via la capacità di digerire correttamente il lattosio.

Il lattosio non digerito passa dall’intestino tenue al colon, dove viene fermentato dalla flora batterica locale, che in questo processo produce gas intestinali, responsabili dei sintomi tipici dell’intolleranza al lattosio, come distensione dell’addome, sensazione di gonfiore e crampi; si può inoltre generare uno stato infiammatorio, le cui manifestazioni sono dolore addominale e diarrea (dovuta alla capacità del lattosio di richiamare acqua nel lume intestinale per effetto osmotico).

L’intolleranza al lattosio non è infatti una reazione di natura immunitaria e per questo non comporta tutta quella sintomatologia tipica delle reazioni allergiche (es. prurito, gonfiore, anafilassi, ecc.); è inoltre strettamente correlata alla quantità di lattosio assunto, per cui chi è intollerante al lattosio può comunque mangiare con tranquillità i formaggi stagionati, che contengono solo piccolissime tracce di questo zucchero.

Quando si presenta questa intolleranza non è quindi sempre necessario eliminare dalla propria dieta i prodotti che contengono lattosio: a volte è sufficiente individuare la quantità di lattosio tollerata dal proprio intestino senza che questo avverta fastidi. In alcuni casi è persino possibile assumere farmaci a base di lattasi, per facilitare la digestione del lattosio.  Inoltre oggi sul mercato sono presenti molti alimenti privi di lattosio ed il latte vaccino può essere sostituito con latti (o più correttamente “bevande”) vegetali, come il latte di soia.

Intolleranza al glutine

L’intolleranza al glutine (o celiachia) è invece di natura immunitaria, a differenza di quella al lattosio.

L’organismo reagisce infatti all’introduzione di un aggregato proteico (il glutine) presente nel grano e nei suoi derivati, innescando un’intensa risposta infiammatoria che, se protratta nel tempo, può interessare tutto il tratto intestinale.

La mucosa intestinale può quindi essere così danneggiata dall’infiammazione da non essere più in grado di assorbire adeguatamente i nutrienti introdotti con l’alimentazione; in alcuni casi il danno è tale da provocare la distruzione dei villi intestinali, che a sua volta causa malassorbimento dei nutrienti e la comparsa di altre possibili intolleranze, come quella al lattosio.

Si può ridurre lo stato infiammatorio provocato dal glutine solo eliminando dalla propria dieta gli alimenti che lo contengono, cioè evitando il consumo di tutti i derivati del grano, farro e orzo e sostituendoli con i prodotti senza glutine, oggi ampiamente diffusi.

Le diete di esclusione: cosa sono?

Quando si parla di diete di eliminazione o di esclusione, si intendono dei regimi alimentari basati sull’eliminazione di uno o più alimenti dalla propria dieta, per gestire un’intolleranza o allergia alimentare.

L’intolleranza al glutine è l’unico caso (oltre che in presenza di allergie alimentari) in cui l’eliminazione totale di una classe alimentare è consigliabile, per eradicare lo stato infiammatorio intestinale ed il conseguente malassorbimento innescato dalla risposta dell’organismo al glutine.

Fuori dall’intolleranza al glutine (celiachia) le  diete di eliminazione possono rappresentare comportamenti alimentari altamente diseducativi, soprattutto se condotte in modo inopportuno.

Dalle diete di esclusione a quelle di rotazione

L’eliminazione totale di un alimento può avere importanti conseguenze soprattutto nei bambini: negli anni si è osservato che le diete di esclusione si sono rese responsabili di deficit vitaminici e ritardi nella crescita, perché spesso sono risultate troppo restrittive in uno o più nutrienti.

Inoltre in alcuni casi una dieta di eliminazione protratta nel tempo può diventare rischiosa per l’organismo, che, venendo casualmente a contatto con l’alimento eliminato, può andare incontro a disturbi o reazioni allergiche vere e proprie, a causa di adattamenti del sistema immunitario.

Questi regimi alimentari hanno tuttavia un ruolo fondamentale in caso di allergie alimentari ed in fase di screening di intolleranza o allergia alimentare.

Per raggiungere una diagnosi definitiva di intolleranza o allergia alimentare, si procede infatti eliminando l’alimento ritenuto responsabile della reazione avversa e reintroducendolo gradualmente per verificarne gli effetti sull’organismo.

Tenendo in considerazione questi schemi alimentari, quando si parla di intolleranza alimentare (fatta eccezione per la celiachia) o di stati infiammatori intestinali può essere più utile andare a modulare la propria alimentazione favorendo la rotazione degli alimenti e limitando così il sovraccarico dell’organismo, anziché ricorrere ad una dieta di eliminazione.

Questo tipo di approccio prende il nome di dieta di rotazione e può essere applicato ad esempio in caso di intolleranza al lattosio: si può fissare un giorno “libero”, in cui è possibile assumere latte e derivati, alternandolo invece a giorni di astensione completa da questi alimenti, reintroducendoli via via nella propria alimentazione.

Molto importante nelle diete di rotazione, infine, è variare il più possibile gli alimenti e le classi alimentari assunte con la propria dieta. Risulta fondamentale quindi non solo conoscere gli alimenti e la loro composizione, ma anche gli effetti che questi hanno sull’organismo, secondo un modello di alimentazione consapevole.

 

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